Fondo Atlante: da àncora di salvezza contro la crisi degli istituti bancari italiani ad “anatra zoppa” del sistema. Cos’è, come è nato e perché non sta funzionando a dovere.
Monte Paschi e i suoi investitori in bilico, Unicredit che ricapitalizza, la questione dei rimborsi ai piccoli risparmiatori di Banca Etruria e Banca Marche su cui rimangono incertezze. Non sono tempi floridi per il sistema bancario italiano.
Gli interrogativi che si sollevano fra investitori e addetti di settore sono molti. Fra di essi, soprattutto ultimamente (e perché lo vedremo tra poco) ce n’è uno in particolare: dov’è Atlante?
Il nome è quello di una figura della mitologia greca, un gigante che si pensava sostenesse l’intero mondo sulle sue spalle. L’argomento è quello del Fondo Atlante: un ente creato proprio per far fronte alla crisi del settore bancario, ma che non sta funzionando nel modo giusto.
In questo articolo capiremo cos’è, come funziona e perché il Fondo Atlante non sta andando come si prospettava alla sua fondazione.
Buona lettura.
Fondo Atlante: gli esordi
L’11 aprile 2016 la Quaestio SGR, società presieduta dall’economista Alessandro Penati, con il supporto di Fondazione Cariplo, lancia l’iniziativa della creazione del Fondo Atlante. E’ un fondo comune di investimento realizzato con la partecipazione di grandi banche italiane, casse depositi e prestiti, investitori privati. Gli obiettivi del Fondo, come afferma Penati, sono principalmente due:
A) assicurare il successo delle operazioni di ricapitalizzazione degli istituti bancari italiani in difficoltà;
B) aiutare nella cessione dei crediti in sofferenza delle banche in crisi.
L’iniziativa, accolta positivamente dall’allora presidente Renzi e dal ministro Padoan, avrebbe avuto l’UE come ente di vigilanza esterno. Compito dell’Unione Europea, quello di evitare che nel Fondo Atlante finissero finanziamenti statali, aggirando la normativa europea su bail-in e operazioni di salvataggio. Atlante, infatti, è nato e rimane ancora oggi un ente privato, gestito dall’impresa di Penati, Quaestio SGR (Società di Gestione dei Risparmi).
Atlante: le due quote di capitale
Al 28 aprile 2016 Atlante contava adesioni per 4.25 miliardi di capitali. Il monte totale, come da disegno originario, era a sua volta ripartito in due “quote capitale” da utilizzare per il raggiungimento dei due obiettivi di aiuto nella ricapitalizzazione e cessione delle sofferenze.
Il 70% del Fondo Atlante era destinato all’acquisto delle azioni nelle offerte per la ricapitalizzazione delle barche in crisi. La sottoscrizione massima era pari al 75% del valore del titolo venduto nell’operazione.
Il restante 30% del capitale del Fondo era invece destinato a sottoscrivere parte dei titoli junior ottenuti dalla cartolarizzazione dei crediti in sofferenza delle banche in crisi. Titoli per cui gli investitori esterni non hanno molto interesse, e che sarebbero stati quindi, di fatto, assorbiti e gestiti da Atlante. Oltre all’acquisto di titoli, per Atlante era prevista la possibilità di investire in beni mobili e immobili degli istituti in difficoltà.
Fondo Atlante: i partecipanti
Erano 67 le istituzioni italiane ed estere che, al 28 aprile, avevano risposto alla chiamata di Penati. Tra di esse Unicredit, impegnatasi a versare capitali per 845 milioni, Intesa San Paolo (845 milioni), Poste Vita (260 milioni), UBI Banca (200 milioni), e Compagnia di San Paolo (100 milioni).
Pochi giorni più tardi, a Penati giungevano anche le congratulazioni dal Fondo Monetario Internazionale. E non a caso. Per il Fondo Atlante si prospettava un rendimento pari al 6% annuale, con estensione massima dell’investimento per 18 mesi. (Con altri 6 da aggiungersi nel caso in cui le operazioni in corso richiedessero di sforare il limite).
Ma Atlante non suscitava gli entusiasmi di tutti.
La società di rating Moody’s aveva promulgato una nota in cui metteva in guardia uno dei capofila del Fondo, Unicredit. Il motivo? Secondo l’agenzia, la partecipazione nel fondo dell’istituto bancario italiano (845 milioni) era eccessiva.
Dovendo di fatto acquisire titoli di banche in ricapitalizzazione, potenzialmente instabili, il rischio che gli aumenti di capitale fallissero era piuttosto alto. La conseguenza, per Unicredit, sarebbe stata non solo la perdita dell’investimento, ma un vero e proprio “assottigliamento” delle sue stesse riserve di capitale. In breve, Unicredit stava puntando troppo.
A fare eco alle preoccupazioni di Moody’s era anche il Financial Times. L’autorevole rivista britannica criticava ancora più profondamente l’iniziativa di Penati e Cariplo. Secondo il Times, di fatto Atlante creava un meccanismo in cui i fondi di banche virtuose, come Unicredit e Intesa, erano redistribuiti a istituti inefficienti e gestiti male. Con l’unico risultato di indebolire ulteriormente il sistema bancario italiano.
Fondo Atlante: gli sviluppi
Le preoccupazioni di Moody’s prima e del Financial Times non sono rimaste del tutto trascurate. A meno di una settimana dalla conclusione della ricapitalizzazione, Unicredit ha annunciato di non escludere la svalutazione della sua partecipazione nel Fondo Atlante.
L’istituto bancario ha già versato nel Fondo circa 504 milioni, più altri 182 nel quarto trimestre del 2016.
La notizia, riportata dall’agenzia di stampa Reuters il 30 gennaio, non contiene ancora l’esatta percentuale di svalutazione.
Su questo ti terremo aggiornato. Nella seconda parte di questo approfondimento, ci occuperemo nello specifico delle ragioni per cui Atlante non sta funzionando a dovere.
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