Il Bail in spiegato bene, senza “finanziese”, e perché se ne parla tanto ultimamente.
Se stai seguendo da vicino il caso Monte Paschi o Unicredit avrai sicuramente sentito parlare del “bail in”. E non in positivo: basta la sola parola ad mettere investitori e mercati in stato d’allerta. Perché?
In questo articolo ci occuperemo proprio di questo. Il bail in cos’è, come funziona, e come mai è così temuto.
Buona lettura.
Bail in: cos’è
Il Bail in è una modalità di gestione e risoluzione delle crisi bancarie. Prevede l’utilizzo di riserve e capitale appartenenti all’istituto stesso per reperire i fondi necessari al salvataggio. In questo si differenzia dal noto bail out, il salvataggio effettuato tramite l’apporto di fondi statali.
Il bail in è stato introdotto nel sistema italiano a partire dal 1 gennaio 2016, sulla scorta della direttiva europea Bank Recovery and Resolution Directive (BRRD).
L’obiettivo della direttiva è proprio quello di evitare manovre di salvataggio effettuate con soldi pubblici, in deficit, e che quindi prevedono ricadute pesanti sui contribuenti italiani.
La direttiva nomina Banca d’Italia l’autorità preposta alla vigilanza nelle operazioni di bail.
Bail in: come funziona
Nel bail in azionisti e investitori contribuiscono con i propri fondi al reperimento del capitale di salvataggio necessario per risanare la banca. Le perdite da loro sopportate, secondo direttiva, devono necessariamente essere inferiori a quelle che avrebbero in caso di liquidazione amministrativa dell’istituto (in gergo, questo viene definito il principio del “no creditor worse off”).
Azionisti e investitori contribuiscono al capitale di salvataggio secondo un ordine gerarchico preciso.
- Azionisti in possesso di azioni bancarie ordinarie e possessori di azioni di risparmio, obbligazioni convertibili;
- Possessori di obbligazioni subordinate non garantite e di certificati di deposito al portatore;
- Creditori chirografari;
- Persone fisiche, piccole/medie imprese con depositi in conto superiori a 100.000 euro (200 000 se cointestati);
- Fondo Interbancario di Garanzia dei Depositi, cui aderiscono le banche nazionali.
Bail in: le fonti escluse
Restano certamente esclusi dal bail in:
- le obbligazioni bancarie garantite;
- le cassette di sicurezza e altri fondi di investimento garantiti – stabiliti all’interno della specifica procedura di bail in per l’istituto;
- fondi destinati al pagamento dei dipendenti (o delle loro pensioni);
- depositi inferiori alla soglia dei 100 000 euro.
Bail in: il ruolo dell’autorità di vigilanza
L’autorità di vigilanza in può poi individuare altre fonti di capitale da escludere dall’operazione di salvataggio, posto che il bail in avvenga almeno per l’8% delle passività totali. Solitamente vengono escluse le passività di lenta cessione, e le posizioni attive di grandi autorità/società con influenza a livello nazionale. L’ente di vigilanza ha potere discrezionale in questo senso, ma sempre tenendo conto dell’effetto che la procedura di bail avrebbe sul panorama finanziario nazionale e sul suo tessuto imprenditoriale.
Bail in: lo spettro su Unicredit
Come avrai visto, quella di bail in è una manovra di salvataggio molto invasiva, che aggredisce direttamente il valore di azioni e titoli posseduti da azionisti e investitori. Ma è anche l’unico modo per evitare la liquidazione coatta dell’istituto, che porterebbe alla dissoluzione completa del capitale posseduto. Con ovvie conseguenze per imprese, dipendenti e soprattutto piccoli risparmiatori.
Negli ultimi giorni si è tornato a parlare di bail in soprattutto in occasione della ricapitalizzazione di Unicredit. Un aumento via vendita di azioni che mira a raccogliere 13 miliardi di euro e a scongiurare “lo spettro” del bail in, già evocato dalla Banca Centrale Europea lo scorso dicembre 2016. Nella lettera indirizzata a Unicredit, la Banca Centrale lo come alternativa al fallimento dell’operazione di ricapitalizzazione. L’esito sarà noto solo alla fine di questo mese.
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